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Io Donna: il business corre sul filo

Nel mese di ottobre abbiamo parlato de La Via Etica della Seta a Fabio Bozzato, che ha curato un interessante articolo pubblicato sabato 31 ottobre 2015 su Io Donna, il magazine de Il Corriere della Sera.
Ecco la sua personale visione di questa interessante “storia di bachi e orafi, macchine e gelsi“:

> Download PDF “Il business corre sul filo” – Io donna 31/10/2015

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Il business corre sul filo
LA VIA (VENETA) DELLA SETA

Una coppia di imprenditori orafi, un centro di ricerca che alleva bachi vicino a Padova, una vecchia macchina in disuso recuperata. obiettivo: produrre tessuti etici e biologici. Una storia italiana, Per sfidare il gigante cinese.
di Fabio Bozzato
foto Piero Martinello per Io donna

Sono andati in Giappone a caccia di pezzi di ricambio. Alcuni si trovano ancora, altri non più. Così li hanno commissionati ai più virtuosi tra gli artigiani meccanici del vicentino. Entro l’anno la macchina sarà a pieno regime e in Europa si sentirà di nuovo il rumore di una filandina in funzione: qui si è riscoperta la seta, il più pregiato dei tessuti. Ed sarà qualcosa con cui i cinesi non potranno competere, giurano da queste parti. Anche se laggiù continuano a produrre oltre il 90% di filato al mondo.
La filandina è arrivata in Veneto nel 1971. Serviva solo per fare prove di qualità dei bozzoli. Una piccola Nissan, 12 capi di lavorazione appena e la targhetta Cocoon (bozzolo, ndr.) Testing. Ora è il simbolo della rinascita di una produzione che ricorda gli albori dell’industria, ma promette nuove frontiere di affari. I filati di seta italiani erano i più ambiti fino agli anni Sessanta. Poi il declino e il monopolio dell’Estremo oriente. Nei primi Ottanta è calato il silenzio nelle filande. Spenti i motori. Coperti i macchinari con lenzuola bianche.

Non potevano essere che orafi gli autori del miracolo. Siamo a Nove, provincia di Vicenza. Giampietro Zonta e Daniela Raccanello, marito e moglie, sono i titolari della D’orica. Partiti 26 anni fa dalla taverna di casa, nel giro di un decennio hanno conquistato i mercati arabi e orientali con i loro gioielli realizzati interamente a mano. L’anno scorso l’idea: «Unire lo sfavillio delle sfere d’oro con il più pregiato dei filati» racconta lei, che è la designer. Quale? «La seta. Anzi la migliore». Quella cinese non gode di grande fama nel settore. La qualità prima di tutto. E poi l’inquinamento fuori controllo dei terreni, un’ombra sulla bachicoltura. «Ci siamo detti: facciamola noi. Uno: rimettiamo in moto una filandina. Due: usiamo bozzoli da bachi allevati con gelsi non trattati. Tre: facciamola lavorare da cooperative sociali». Ed è ecco la seta del nuovo millennio, nata da una sconfitta e dall’oblio: «Una seta al 100% italiana, etica e biologica» dicono alla D’orica.

Ma trovata la filandina, come recuperare migliaia di bachi? Bisogna andare a Padova. In un lembo tra le zone termali e la Basilica di Sant’Antonio c’è il CREA, il più importante centro europeo di ricerca sui bachi da seta. È qui dal 1922, ma era stato istituito cinquant’anni prima. Un gelseto di quasi 6 mila piante che a breve sarà certificato biologico, un museo degli insetti. E un edificio i cui pannelli solari forniscono energia a tutto il Centro di ricerca. Qui sono nate generazioni di bachi. Hanno mangiato tante foglie di gelso fino a quando era il momento di chiudersi in un bozzolo bianco per trasformarsi in farfalla. Milioni di farfalle sono sbucate fuori da quei gomitoli di filo vellutati e fittissimi. Si sono accoppiate lo stesso pomeriggio. Deposte le uova, nel giro di pochi giorni sono morte. «E’ la favola tragica del Bombyx mori», ci racconta Silvia Cappellozza, responsabile del Centro. In ogni bozzolo, l’operatrice della filanda trova il capo del filo e lo riavvolge sull’aspo. E’ la trattura. Ognuno ha un filo di seta che può arrivare fino a quasi 800 metri se il baco è di razza pura o ai due chilometri se ibrido. I bachi vivono nelle stanze del Crea, si strusciano tra le foglie di gelso, mangiandone insazziabili. Sono tantissimi, in vassoi impilati come padelle del pane a riposo. Si sente solo il rumore del loro masticare e sembra uno scroscio di pioggia. Le uova sono custodite in sale frigo, capocchiette di spillo puntate su fogli, appesi uno vicino all’altro. Duecento razze di bachi e 60 varietà di gelso. «Il nostro è solo un piccolo allevamento, qui nascono 200 mila bachi». Le uova vanno agli agricoltori ma, più che al tessile, servono per biomedica e cosmesi. È proprio questo Centro che ha mantenuto in vita il sogno di ritornare a far seta nel nostro Paese.

Fernando Pellizzari è stato l’ultimo presidente dei bachicoltori italiani. Fino agli Cinquanta, racconta, c’erano 40 mila aziende agricole nel nostro Paese. Oggi ne sono rimaste non più di trenta. A un certo punto è diventato più conveniente importare tutto. «Solo l’anno scorso dalla Cina sono arrivate in Italia, tra filati e tessuti, più di tremila tonnellate di seta». Perché l’industria tessile tiene «e se ripartisse la filiera italiana, anche solo puntando anche solo al mercato del lusso, si aprirebbe uno spazio enorme». La scommessa, dunque, è rilanciare il settore. Seta biologica e alto tasso di innovazione. Ecco perché la filandina di Castelfranco Veneto è così speciale, pur rimanendo una Cocoon Testing: «A pieno regime farà sempre piccoli quantitativi per la D’orica. Può arrivare a circa un chilo di seta al giorno» spiega Salvatore Gullì, ingegnere delle automazioni, finito in Giappone a specializzarsi proprio nelle tecniche di filatura serica. «Questa macchina è l’ultimo esemplare funzionante in Europa, unico per le sue capacità di controllo del ”titolo”, cioè il diametro del filo».

Allora ci vuole un luogo all’altezza della sua fama. Presto lascerà il capannone e verrà piazzata in una barchessa della palladiana Villa Morosini Cappello, a Cartigliano, sempre nel vicentino. «Bisogna tornare indietro di qualche secolo: qui c’erano filande rinomate in tutta Europa» racconta Giampietro Zonta. Solo così tutti i fili di questa storia di bachi e orafi, macchine e gelsi, potrebbero districarsi e ritrovare senso.